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  • Immagine del redattore: Paola Foggetti
    Paola Foggetti
  • 5 feb 2019
  • Tempo di lettura: 1 min

Ci sono storie inenarrabili e non sempre sono cruente, anche se a volte lo sono.

Sono inenarrabili perché non esistono parole per descriverle.

Ci sono immagini o frammenti di immagini.

Anche gli odori risultano sconosciuti, si mescolano a immagini sfocate, senza contorni.

Quando niente di tutto questo non avresti mai potuto aspettarti.

Ci sono suoni che nessun pentagramma potrebbe mai riprodurre, nessuno strumento suonare, esistono solo nei tuoi ricordi, e appartengono a storie inenarrabili.

Allora non sai come raccontare, come spiegare quello che senti, anche le emozioni risultano vuote…

"Vorrei poter proiettare immagini, sensazioni fisiche, odori e suoni su uno strumento ancora inesistente che possa decodificare la mia mente e liberare la mia anima”.
(Paola Foggetti, in stampa)

In psicoterapia, ho sempre sostenuto che il lavoro sulle capacità percettive fosse molto importante in qualsiasi orientamento clinico. L’interesse e lo studio dell’integrazione dei livelli funzionali mente corpo ha da sempre accompagnato la mia visione olistica dell’individuo che nasce e si organizza all’interno del proprio contesto culturale e sociale.

L'interruzione del meccanismo integrativo pone in primo piano l'individuo, ovvero il processo integrativo stesso. Il Trauma può rappresentare l'evento predittivo, per eccellenza, di una disintegrazione o di una interruzione tra i sistemi. Nel trattamento dei disturbi post traumatici, l’attenzione ai processi percettivi e dissociativi della coscienza ha assunto un ruolo principale ed inevitabile. Le percezioni corporee degli stati dissociativi, le percezioni sinestesiche delle memorie traumatiche, divengono le basi da cui procedere verso l’integrazione e la risoluzione della sofferenza della persona. Dipinto di Lita Cabellut

  • Immagine del redattore: Paola Foggetti
    Paola Foggetti
  • 11 ott 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 15 ott 2022


Immaginare è una facoltà umana, permette di creare, trasformare, sviluppare e anche deformare immagini mentali che, uscendo fuori dalle regole già note e prestabilite, apre la mente ad altre possibilità.

Si può immaginare per sognare mondi diversi, per creare soluzioni possibili … L’immaginazione è, da sempre, la guida nelle grandi scoperte, nelle arti, nella poesia, nella lirica romantica, ma anche nella vita quotidiana.

Immaginare è, quindi, una funzione evolutiva che promuove adattamento e sviluppa la creatività in diversi ambiti dell’esistenza umana.

E’ un fenomeno neuropsicofisiologico strettamente connesso ai processi di memoria a breve e lungo termine e condizionato dalla propria cultura.

Immaginazione e memoria sono parti integranti l’una dell’altra. Pensiamo alla memoria come a un processo attivo e dinamico che riprende forma nel momento stesso in cui ricordiamo qualcosa. Anche quando rievochiamo i sogni, questi non sono mai esattamente come nel momento in cui li abbiamo sognati.

Noi crediamo di ricordare chiaramente ma le neuroscienze dimostrano che la nostra memoria è parziale e imperfetta.

Memoria e immaginazione hanno in comune la rappresentazione dello stimolo (visivo, uditivo, tattile, etc.), come nella percezione; in entrambi i casi simulano qualcosa, ricreando, nel momento presente, nuovi contesti.


Le Scienze psicologiche e neuropsicologiche studiano da decenni il rapporto tra percezione e immaginazione, alcuni studi hanno dimostrato che il contenuto della percezione visiva (la rappresentazione di immagini reali), sono decodificate dall’attività della corteccia visiva.

Questi dati confermerebbero la tesi secondo la quale esisterebbero stretti legami tra l’attività dei recettori sensoriali nella percezione visiva e l’immaginazione. Ma il fenomeno della visione reale o immaginaria è un processo che ha ulteriori connesioni.


Ma perché creiamo immagini? Qual è il loro scopo?

Vittorio Gallese in un recente articolo: "The Problem of images: a vew from the brain-body" su Phenomenology and Mind, 2018, approfondisce questo affascinante mistero.

Recenti ricerche neuroscientifiche, spiega Gallese, hanno cambiato le conoscenze sui meccanismi della percezione, dell'azione, della cognizione. La ricerca continua a individuare i meccanismi delle molteplici relazioni che intercorrono tra questi diversi sistemi e funzioni. Dopo le prime scoperte dei neuroni specchio (Gallese, Rizzolatti), i ricercatori italiani, propongono un nuovo modello psiconeurofisiologico della percezione e delle funzioni cognitive, che chiamano "simulazione incarnata", che rivela la relazione costitutiva tra cervello-corpo e la ricezione di espressioni creative umane.

La formazione di immagini e il loro sviluppo rimanda immediatamente all'esperienza estetica dell'arte.

Si espande da alcuni anni una nuova branca della ricerca:l'estetica sperimentale, facendo inorridire alcuni artisti e studiosi umanistici.

Come spiega anche Gallese, nel suo articolo, l'estetica sperimentale

studia i correlati fisiologici dell'esperienza estetica durante la produzione e la fruizione dell'opera artistica.

La percezione umana, in senso lato, dovrebbe sempre essere compresa come una forma naturale di esperienza relazionale, cioè in continua connessione con i diversi contesti, personali, ambientali, interpersonali, in cui gli oggetti del mondo e gli umani che lo abitano si influenzano a vicenda. Questo accade anche nella produzione e fruizione dell'arte.

L'immaginazione, come forma percettiva molto simile alla visione oggettiva, ingloba tutto il mondo intersoggettivo.

In questa direzione, il primo importante contributo della neuroscienza al problema delle immagini, è una nuova nozione di percezione visiva.

La neuroscienza dimostra che la visione è multimodale (così come altri canali sensoriali), comprende l'attivazione di reti cerebrali motorie, somatosensoriali ed emotive.

I motoneuroni, non solo causano movimenti e azioni, ma rispondono anche agli stimoli visivi, tattili e uditivi, in relazione con il movimento del corpo nello spazio, mappando gli oggetti che occupano quello spazio e così anche i movimenti e le azioni degli altri.

Essere umani significa non solo sperimentare la realtà fisica, ma anche concepire mondi possibili, ovvero immaginarli.

La neuroscienza ci permette di capire come la linea tra ciò che chiamiamo realtà, i mondi immaginari e l'immaginario di azione sono molto meno nitidi e chiari di quanto si possa pensare.

In effetti, sperimentare un'emozione e immaginarla sono entrambe sostenute dall'attivazione di circuiti cerebrali parzialmente identici, sebbene collegati in modo diverso, quando sono coinvolti in queste diverse situazioni cognitive e fenomeniche. Allo stesso modo, vedere qualcosa e immaginarlo, agire e immaginare di agire, coinvolge l'attivazione di circuiti cerebrali parzialmente comuni.

Un recente studio EEG ad alta densità ha mostrato che i circuiti cerebrali che inibiscono l'esecuzione dell'azione sono in parte gli stessi di quelli che ci permettono di immaginare di agire (Angelini et al ., 2015).

L'espressione creativa, attraverso la creazione di immagini, è legata al corpo non solo perché il corpo è lo strumento di creazione dell'immagine, ma anche perché il corpo è il mezzo principale che consente l'esperienza di immagini create dall'uomo.

In conclusione, le neuroscienze contemporanee mostrano che ciò che vediamo non è la semplice registrazione "visiva" nel nostro cervello di ciò che sta di fronte ai nostri occhi, ma il risultato di una costruzione complessa, il cui risultato è il frutto del contributo fondamentale del nostro corpo con le sue potenzialità motorie, i nostri sensi e le nostre emozioni, la nostra immaginazione e i nostri ricordi. La visione è un'esperienza complessa, intrinsecamente sinestetica, cioè fatta di attributi che superano largamente la mera trasposizione in coordinate visive di ciò che sperimentiamo ogni volta che posiamo gli occhi su qualcosa. L'espressione "posa degli occhi" tradisce infatti la qualità tattile della visione: i nostri occhi non sono solo strumenti ottici, ma sono anche una "mano" che tocca ed esplora il visibile, trasformandolo in qualcosa visto da qualcuno. L'espressione creativa e ciò che ora designiamo come arte sono tra le espressioni fondamentali della nostra specie.


PhMacro, opera "Le stanze dell'immaginario" (particolari), Serena Giorgi, (2018)



  • Immagine del redattore: Paola Foggetti
    Paola Foggetti
  • 27 ago 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

"Mentre cammini alza lo sguardo e osserva quello che vedi intorno a te: persone, case, palazzi, alberi, animali ...

poni attenzione ai colori e prova a ricordarli

Appunta tutto quello che vedi, forse scoprirai qualcosa "

"E se non vedo nulla?"

"Allora inventa"

...

L'indicazione di compiere dei movimenti del corpo, e nello specifico, di riattivare la motricità oculare, può favorire, in persone che soffrono di una profonda tristezza, sono abuliche, o sono scoraggiate, la comparsa di pensieri positivi, aperti alla speranza di una motivazione personale.

Tuttavia non è così semplice, i meccanismi che ne sono alla base possono essere letti sul piano neuropsicofisiologico e secondo la teoria dei sistemi motivazionali interpersonali (Liotti, 1991-2017).

Lo sguardo è il primo processo cognitivo ed emozionale (Ruggieri, 1987-2013), e già nella prima infanzia rappresenta un pattern mimico-espressivo attraverso il quale il bambino si pone nell'interazione con l'altro e con l'ambiente (Aringolo, Foggetti 2009).

Da un punto di vista psicofisiologico (Ruggieri, 1987-2013), la motilità dello sguardo coinvolge tutta la muscolatura fronto-oculare e peri-oculare e il conseguente orientamento dello sguardo e la "messa a fuoco" indicano diverse modalità attentive: in uno sguardo "rilassato" l'attenzione è fluttuante, lo sguardo "perso" può indicare un'assenza parziale di attenzione, o ancora in uno sguardo "fisso" l'attenzione è focalizzata verso contenuti interni o esterni, ma in questo caso i pensieri e le immagini sono fortemente selettivi e non permettono di notare altro, e così via.

Una condizione psicopatologica la possiamo osservare quando tutte le dimensioni attentive, in un tempo sufficientemente lungo, risultano iper o ipoattivate, in modo da "cristallizzare" la visione che abbiamo di noi stessi e del mondo.

Per esempio, nella sofferenza depressiva, propriamente detta, talvolta la persona ha grandi difficoltà di movimento, lo sguardo è "spento", senza nessun accenno di ricerca visiva ed i pensieri rimangono cristallizzati in un aurea negativa. E' forte il senso di sconfitta, di incapacità personali, e domina il senso di sottomissione nei confronti delle negatività delle vita, quindi senza speranza per il futuro. Lo sguardo delle persone depresse è focalizzato verso i propri contenuti interni, che sono spesso di fallimento, di perdita, di deprivazione affettiva e di abbandoni.

In un approccio integrato mente corpo, mobilitare lo sguardo verso un presente osservabile e desiderabile può rappresentare un progetto psicoterapeutico da percorrere insieme.

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